Sono quasi sicuro che la maggior
parte di quelli che possiedono un furgone camperizzato, prima di addormentarsi
nella loro piccola casa di lamiera, almeno una volta, o forse di più, sono
rimasti imbambolati a osservare un mobile o il letto del pargolo, non per amore
paterno/materno, ma perché l’ingegno, che è presente in ognuno di noi lavorava chiedendosi se spostando di qua e
modificando di là non ci sarebbe stato lo spazio per stivare l’intera
attrezzatura da pesca. Ma se la metto li poi devo spostare il mobile dei
vestiti, e dove lo metto? Al posto del bagno! Ma allora il bagno lo sposto
laggiù. Così però finisce che il pargolo dorme fuori e allora si ricomincia da
capo… Trovata la soluzione ci si convince che la disposizione ideale potremmo
solo farcela perché in commercio non c’è mai. Potremmo…perché non siamo
allestitori. Io invece, ad un certo punto, ho deciso di farmi il mio camper e,
se vorrete leggere, questa è la storia di come sono diventato allestitore di
furgonati.
ANTEFATTO
Le mie prime esperienze di vita
in Plein Air risalgono a quando avevo quattro anni, ovvero, nel 1971.
Allora per me la vacanza era il
campeggio. Si partiva con la Fiat 124 stracarica, perché la tenda, da sola,
occupava mezza macchina con la sua paleria sufficiente a costruire la Torre eiffel. Sul tetto il portapacchi, e sul
portapacchi la barchetta in vetroresina che faceva un po’ da mansarda perché
era lunga 4 metri.
Noi piccoli, io e mio fratello,
seduti dietro. Seduti per modo di dire perché allora i seggiolini erano ancora
su Marte e le cinture erano solo quelle dei pantaloni. L’unica cosa che ci
impediva un po’ il movimento era il motore della barca, un Tomos da 4 cavalli
tanto grande che adesso nello stesso spazio ce ne fanno stare 20, di cavalli
non di motori.
Il passo successivo fu un pulmino
238 trasporto promiscuo. Nove posti con quelli dietro separati da una griglia
tipo cancellata. Sembrava di essere in gabbia. Si partiva in 7, noi quattro e
gli amici di famiglia con un altro bimbo. Noi piccoli sistemati sulla terza
fila di sedili. Il viaggio verso l’agognata meta durava di solito un paio di
giorni, perché, anche se c’era meno traffico le strade erano quelle che erano e
la velocità massima anche.
Non era un camper ma il primo
anno, noi pupi, ci abbiamo dormito dentro perché i papà, da veri duri, avevano
deciso di guidare tutta la notte dandosi il cambio. Mio fratello sdraiato sui
sedili della terza fila, il suo amico della stessa età accucciato in braccio
alle due mamme e io, il più piccolo, ovviamente sul pavimento a due centimetri
dal motore del gommone, questa volta un Mercury da 20 cv, che era sotto la
panca della terza fila. Lo ricordo bene perché ho passato la notte con la
certezza che, in caso di frenata, mi avrebbe schiacciato.
L’anno dopo, il veto delle mamme,
ha obbligato la ciurma alla sosta notturna. In campeggio? Macchè! Genitori a
nanna nel 238 e figli in tendina canadese montata…in uno spiazzo erboso di un
autogrill!
A dieci anni l’esperienza “en
plein air” è terminata con l’acquisto di piccolo appartamento al mare.
SI PASSA ALL’AUTOCARAVAN
Avevo 18 anni quando mia madre ha
deciso di comprare il primo camper. Le vacanze in famiglia erano finite ma
quella casetta motorizzata comprata usata mi ha accompagnato durante i primi
cinque mesi di militare.
Parcheggiata fuori dalla caserma
della Scuola militare alpina di Aosta mi ha concesso qualche ora di sonno nelle
poche ore di libera uscita, anche perché di là a casa non si andava mai.
Era un Arca Scout, mansardatino
di circa 5 metri, che dopo il servizio militare mi ha accompagnato in Spagna
per la prima vacanza da solo con gli amici. Un millesei a benzina/gas a quattro
marce. In autostrada la velocità massima era di centoventi all’ora ma solo in
discesa perché, quando si avvicinava una leggera salita, toccava scalare in
terza, e poi anche in seconda alla folle velocità di cinquantacinque all’ora
con i TIR che ti sorpassavano strombazzanti e goduti.
A Tossa de Mar poi in camper ci
stavo solo di giorno, per dormire, perché di notte si faceva…altro. E,
parcheggiato al sole nel campeggio, con l’isolamento di un centimetro di
polistirolo mi ricordo, più che dei mobili, delle grandi sudate.
Provata l’ebrezza del
mansardatino lumaca, la mamma decide di cambiarlo con un motorhome sempre Arca e
sempre usato. L’uso diventa più sporadico e mi tocca darmi al primo bricolage.
La batteria andava cambiata prima di ogni uscita che avveniva una volta ogni
quattro mesi. Le uscite per sciare, poche, terminavano inevitabilmente con gas
e acqua gelati e allora via con gli isolamenti artigianali, e poi il gradino
elettrico, il frigorifero, le guarnizioni del wc… Dopo due anni la scatola di
polistirolo ha ripreso la strada nel giro dell’usato e la seconda esperienza
“en plein air” è terminata.
SCOCCA LA SCINTILLA
Passano gli anni, lavoro nell’azienda di famiglia occupandomi
della progettazione e costruzione di macchinari complessi e tra un viaggio con
Air Camping e un giro in moto con la tenda incontro una gentil pulzella che
sarebbe poi diventata gentil consorte. Con lei nel ’96 vado in Bretagna e ci
ritroviamo su uno splendido capo al tramonto. Abbiamo la tenda e chiediamo al
custode del parcheggio se sia possibile pernottare nei praticelli circostanti.
Il bretone scuote la testa e indicando una ventina di camper parcheggiati ci fa
capire che possono dormire li solo quelli con servizi appresso. Ci allontaniamo
sconsolati in cerca di un motel ignari del fatto che quel capo rimarrà per
sempre nei nostri ricordi.
Tornati a casa ci mettiamo alla
ricerca forsennata di un camper, ma non uno qualunque, un camper piccolo, da
poter parcheggiare ovunque e che passi inosservato. Allora niente internet ma
solo Seconda Mano con pile di carta che si ammucchiano e annunci segnati a
pennarello e a dicembre lo troviamo! Staziona ad Ivrea, un Ducato
dell’ottantacinque,allestito dall’allora Eporediese Camper, diesel, aspirato ma
chiedono solo dieci milioni delle vecchie lire. E’ nostro! Tralascio le
peripezie per l’acquisto, effettuato in una giornata con nidiata di pupi
urlanti della famiglia venditrice trasportati in sette in macchina, seduti in
braccio, coricati nell’agenzia auto…una babele.
Il ritorno a casa (ricordo che
era il 24 dicembre) fu una festa anche se, dentro, il mezzo non era da vedere
con i suoi tessuti color porpora che facevano tanto…bordello parigino.
Dopo capodanno il mezzo era irriconoscibile, sostituiti i
tessuti, verniciati con il trasparente i mobili (erano in legno massello!),
lucidata la carrozzeria, pulito bruciatori di frigo e stufa e via dicendo.
Questo primo amore ci ha
accompagnato per una anno e mezzo e come potete immaginare non ho passato
uscita senza dover sistemare qualcosa, tant’è che quando abbiamo incontrato il
secondo amore siamo riusciti a farcelo ritirare a 20 milioni (e non pensate che
ci abbia guadagnato perché li avevo spesi tutti per tenerlo in vita).
Il secondo amore è quello che mi
ha scarrozzato per i quattro anni successivi, mi ha portato a capo nord in
viaggio di nozze, e mi ha ispirato nella mia prima costruzione.
Era un Papillon Felix con tre
anni di vita su Ducato 2.5 TD lungo 5 metri, uno degli ultimi furgonati prima
che la Papillon si desse alla vetroresina. Un capolavoro di qualità e con delle
idee geniali che mi porto dietro ancora adesso. Full time con basculante e
bagno in coda, quattro posti che ci hanno accompagnato in giro per l’Europa da
soli o con amici, d’estate in Dolomiti e d’inverno in Bretagna a passare il
capodanno in quattro proprio sul capo indimenticabile, unico camper
sbattacchiato da venti a 100 km all’ora.
(A breve .. Seconda Parte )
Curiosamente attendo la seconda parte .
RispondiEliminaLa firma arriverà nella seconda parte?
RispondiEliminaLa seconda parte svelera' anche il nome ..
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