mercoledì 10 ottobre 2012

E COSI’ DIVENTAI ALLESTITORE ( Prima Parte )

Un Amico allestitore ha voluto condividere con noi i suoi primi passi , che l'hanno portato ad essere quello che oggi e' un " Pluripremiato Allestitore "  .. Di seguito ...




Sono quasi sicuro che la maggior parte di quelli che possiedono un furgone camperizzato, prima di addormentarsi nella loro piccola casa di lamiera, almeno una volta, o forse di più, sono rimasti imbambolati a osservare un mobile o il letto del pargolo, non per amore paterno/materno, ma perché l’ingegno, che è presente in ognuno di noi  lavorava chiedendosi se spostando di qua e modificando di là non ci sarebbe stato lo spazio per stivare l’intera attrezzatura da pesca. Ma se la metto li poi devo spostare il mobile dei vestiti, e dove lo metto? Al posto del bagno! Ma allora il bagno lo sposto laggiù. Così però finisce che il pargolo dorme fuori e allora si ricomincia da capo… Trovata la soluzione ci si convince che la disposizione ideale potremmo solo farcela perché in commercio non c’è mai. Potremmo…perché non siamo allestitori. Io invece, ad un certo punto, ho deciso di farmi il mio camper e, se vorrete leggere, questa è la storia di come sono diventato allestitore di furgonati.
ANTEFATTO
Le mie prime esperienze di vita in Plein Air risalgono a quando avevo quattro anni, ovvero, nel 1971.
Allora per me la vacanza era il campeggio. Si partiva con la Fiat 124 stracarica, perché la tenda, da sola, occupava mezza macchina con la sua paleria sufficiente a costruire la Torre eiffel. Sul tetto il portapacchi, e sul portapacchi la barchetta in vetroresina che faceva un po’ da mansarda perché era lunga 4 metri.
Noi piccoli, io e mio fratello, seduti dietro. Seduti per modo di dire perché allora i seggiolini erano ancora su Marte e le cinture erano solo quelle dei pantaloni. L’unica cosa che ci impediva un po’ il movimento era il motore della barca, un Tomos da 4 cavalli tanto grande che adesso nello stesso spazio ce ne fanno stare 20, di cavalli non di motori.
Il passo successivo fu un pulmino 238 trasporto promiscuo. Nove posti con quelli dietro separati da una griglia tipo cancellata. Sembrava di essere in gabbia. Si partiva in 7, noi quattro e gli amici di famiglia con un altro bimbo. Noi piccoli sistemati sulla terza fila di sedili. Il viaggio verso l’agognata meta durava di solito un paio di giorni, perché, anche se c’era meno traffico le strade erano quelle che erano e la velocità massima anche.
Non era un camper ma il primo anno, noi pupi, ci abbiamo dormito dentro perché i papà, da veri duri, avevano deciso di guidare tutta la notte dandosi il cambio. Mio fratello sdraiato sui sedili della terza fila, il suo amico della stessa età accucciato in braccio alle due mamme e io, il più piccolo, ovviamente sul pavimento a due centimetri dal motore del gommone, questa volta un Mercury da 20 cv, che era sotto la panca della terza fila. Lo ricordo bene perché ho passato la notte con la certezza che, in caso di frenata, mi avrebbe schiacciato.
L’anno dopo, il veto delle mamme, ha obbligato la ciurma alla sosta notturna. In campeggio? Macchè! Genitori a nanna nel 238 e figli in tendina canadese montata…in uno spiazzo erboso di un autogrill!
A dieci anni l’esperienza “en plein air” è terminata con l’acquisto di piccolo appartamento al mare.
SI PASSA ALL’AUTOCARAVAN
Avevo 18 anni quando mia madre ha deciso di comprare il primo camper. Le vacanze in famiglia erano finite ma quella casetta motorizzata comprata usata mi ha accompagnato durante i primi cinque mesi di militare.
Parcheggiata fuori dalla caserma della Scuola militare alpina di Aosta mi ha concesso qualche ora di sonno nelle poche ore di libera uscita, anche perché di là a casa non si andava mai.
Era un Arca Scout, mansardatino di circa 5 metri, che dopo il servizio militare mi ha accompagnato in Spagna per la prima vacanza da solo con gli amici. Un millesei a benzina/gas a quattro marce. In autostrada la velocità massima era di centoventi all’ora ma solo in discesa perché, quando si avvicinava una leggera salita, toccava scalare in terza, e poi anche in seconda alla folle velocità di cinquantacinque all’ora con i TIR che ti sorpassavano strombazzanti e goduti.
A Tossa de Mar poi in camper ci stavo solo di giorno, per dormire, perché di notte si faceva…altro. E, parcheggiato al sole nel campeggio, con l’isolamento di un centimetro di polistirolo mi ricordo, più che dei mobili, delle grandi sudate.
Provata l’ebrezza del mansardatino lumaca, la mamma decide di cambiarlo con un motorhome sempre Arca e sempre usato. L’uso diventa più sporadico e mi tocca darmi al primo bricolage. La batteria andava cambiata prima di ogni uscita che avveniva una volta ogni quattro mesi. Le uscite per sciare, poche, terminavano inevitabilmente con gas e acqua gelati e allora via con gli isolamenti artigianali, e poi il gradino elettrico, il frigorifero, le guarnizioni del wc… Dopo due anni la scatola di polistirolo ha ripreso la strada nel giro dell’usato e la seconda esperienza “en plein air” è terminata.
SCOCCA LA SCINTILLA
Passano gli anni,  lavoro nell’azienda di famiglia occupandomi della progettazione e costruzione di macchinari complessi e tra un viaggio con Air Camping e un giro in moto con la tenda incontro una gentil pulzella che sarebbe poi diventata gentil consorte. Con lei nel ’96 vado in Bretagna e ci ritroviamo su uno splendido capo al tramonto. Abbiamo la tenda e chiediamo al custode del parcheggio se sia possibile pernottare nei praticelli circostanti. Il bretone scuote la testa e indicando una ventina di camper parcheggiati ci fa capire che possono dormire li solo quelli con servizi appresso. Ci allontaniamo sconsolati in cerca di un motel ignari del fatto che quel capo rimarrà per sempre nei nostri ricordi.
Tornati a casa ci mettiamo alla ricerca forsennata di un camper, ma non uno qualunque, un camper piccolo, da poter parcheggiare ovunque e che passi inosservato. Allora niente internet ma solo Seconda Mano con pile di carta che si ammucchiano e annunci segnati a pennarello e a dicembre lo troviamo! Staziona ad Ivrea, un Ducato dell’ottantacinque,allestito dall’allora Eporediese Camper, diesel, aspirato ma chiedono solo dieci milioni delle vecchie lire. E’ nostro! Tralascio le peripezie per l’acquisto, effettuato in una giornata con nidiata di pupi urlanti della famiglia venditrice trasportati in sette in macchina, seduti in braccio, coricati nell’agenzia auto…una babele.
Il ritorno a casa (ricordo che era il 24 dicembre) fu una festa anche se, dentro, il mezzo non era da vedere con i suoi tessuti color porpora che facevano tanto…bordello parigino.
Dopo capodanno  il mezzo era irriconoscibile, sostituiti i tessuti, verniciati con il trasparente i mobili (erano in legno massello!), lucidata la carrozzeria, pulito bruciatori di frigo e stufa e via dicendo.
Questo primo amore ci ha accompagnato per una anno e mezzo e come potete immaginare non ho passato uscita senza dover sistemare qualcosa, tant’è che quando abbiamo incontrato il secondo amore siamo riusciti a farcelo ritirare a 20 milioni (e non pensate che ci abbia guadagnato perché li avevo spesi tutti per tenerlo in vita).
Il secondo amore è quello che mi ha scarrozzato per i quattro anni successivi, mi ha portato a capo nord in viaggio di nozze, e mi ha ispirato nella mia prima costruzione.
Era un Papillon Felix con tre anni di vita su Ducato 2.5 TD lungo 5 metri, uno degli ultimi furgonati prima che la Papillon si desse alla vetroresina. Un capolavoro di qualità e con delle idee geniali che mi porto dietro ancora adesso. Full time con basculante e bagno in coda, quattro posti che ci hanno accompagnato in giro per l’Europa da soli o con amici, d’estate in Dolomiti e d’inverno in Bretagna a passare il capodanno in quattro proprio sul capo indimenticabile, unico camper sbattacchiato da venti a 100 km all’ora.

(A breve .. Seconda Parte )

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